Ieri, dalla stazione ferroviaria di Follonica, è iniziato il mio viaggio in
Grecia; sul treno ho incontrato le mie amiche ed abbiamo proseguito in allegria.
Abbiamo attraversato il paesaggio
tipico della Toscana passando poi alle grandi estensioni verdi con
altissimi alberi collegati tra loro da festoni di pampani e una zona
brulla e grigia tipici delle Puglie.
Ora siamo a Bari alla pensione
Giuliana.
Alcuni facchini ci sono piombati
addosso come beccamorti, ci hanno strappato di mano le valigie
parlottando in dialetto e si sono diretti in gran fretta verso la
pensione; ci hanno fatto entrare in un andito assai mal messo con i
muri scalcinati; alcune donne discinte danno ai locali un’aria di casa
equivoca.
Tre di noi sono salite a dare
un’occhiata alle stanze; Mila ed io siamo rimaste in basso ad
aspettarle; uno dei facchini ci ha invitato a nome delle altre tre, a
salire con tutti i bagagli.
Io ho pensato subito ad una
organizzazione criminale per la tratta delle bianche e ho espresso con
molta decisione il desiderio di vedere di persona una delle nostre
amiche. Mi hanno accontentata e tranquillamente
siamo salite.
La pensione è pulita e confortevole
nonostante che sia abbastanza a buon prezzo. Abbiamo dormito in due camere; Gigliola
ed io abbiamo passato buona parte della notte, sveglie a parlare di
tante cose; ma prima di andare a dormire, abbiamo fatto una
passeggiata in città.
Bari ci appare nelle sue
caratteristiche di città meridionale: tetti a terrazzo, case bianche
ma con in più una opulenza degna del Nord o dell’Oriente favoloso
nella parte nuova: strade larghe, palazzi imponenti dalle
architetture moderne.
Alle dieci di sera incontrare donne è
raro e quelle poche sono costantemente accompagnate da congiunti. Noi ce ne andiamo baldanzosamente a
naso in aria commentando scherzosamente il paesaggio.
Qualche giovanotto ha voluto
sottolineare il nostro passaggio con una frase galante, non certo
originale, ma neanche volgare; qualcuna di noi ha avuto l’impressione
che un tale ci pedinasse; un po’ di brivido ci ha fatto rientrare.
Il giorno dopo, alle 12,00 prendiamo il
treno per Brindisi: aria brillante, magnifico tempo; dopo una
faticosa corsa per tutta la città alla ricerca del “Credito
Italiano”, cambiamo il denaro: una dracma vale £. 21,50.
Conversiamo in treno con alcuni
“indigeni” che difendono la loro emancipazione anche riguardo
alle donne specie in confronto con la Lucania e la Sicilia.
Arrivo a Brindisi: panini, acqua
minerale, poste, cartoline; incontro con altri della Pro Civitate
Cristiana di Assisi che ha organizzato il nostro viaggio, trasbordo
dalla stazione al porto su di una carrozzella; risate, allegria,
battute facili.
Alle undici S. Messa in cattedrale: Te
Deum e discorso retorico; incontro con tutti i partecipanti al
viaggio. Come prevedevo, si tratta di molte
ragazze del tipo medio-per bene-racchietto con qualche rara
fac-totum.
I ragazzi, rarissimi, sono anche loro
del tipo perbene-bruttino con qualche venatura di ascetismo; le mie
amiche ne sono deluse.
Sul mare, verso sera c’è un’aria
sospesa, satura di colore; passeggiamo nel corso dove si muove molta
gente nel buio incipiente; ore 21 seccature con la dogana come
riempire un questionario e far vistare la carta d’identità.
Dopo aver cenato sul porto, saliamo a
bordo; la nave Egnazia è bellissima, fiammante. Si parte; le luci
del porto si allontanano lentamente; comincia a far fresco sul ponte;
ci ritiriamo sulle nostre poltrone all’aperto per dormire.
A mezzanotte un altoparlante ci avverte
che occorre rimettere l’orologio un’ora avanti.
La mattina alle 5 mi sveglio; il cielo
appare bianco-lucido ad oriente e celeste-grigio fondo ad ovest;
costeggiamo una terra montuosa che appena si distingue nella
foschia, dev’essere l’Albania.
Verso le 9 giungiamo a Kerkira = Corfù;
si notano colli boscosi ai lati di monti brulli come cocuzze di
vecchi saggi cinesi; poco dopo siamo a Igoumenitza che si presenta
con l’aspetto di un paese; ai cancelli di accesso al porto vedo
gente mal vestita…mi pare; casette basse, chiare, molto modeste.
Alle 11 S. Messa a bordo, alle 11,50 pranzo a base di riso e piselli,
polpettone con zucchini e patate, uva; ora stiamo navigando verso
Patrasso; abbiamo costeggiato per un certo tratto l’Epiro ed io non
vedo che cielo e mare; raggiungo le mie amiche sul ponte.
Cantiamo e scherziamo spensieratamente
e verso le otto sbarchiamo a Patrasso; la solita gente male in arnese
dallo sguardo lontano si accalca ai cancelli del porto.
Qualche indugio per le pratiche di
dogana e poi al Sima cioè il migliore ristorante della città per la
cena; qui conosciamo Nico un vivace ragazzino quattordicenne che si
prodiga per farci avere “ladi ke kidi” (olio e aceto) e poi “nerò
criò” (acqua fresca).
Verso le 11 andiamo al Britannia a
dormire; il giorno dopo alzata bersaglieresca alle quattro; colazione
a base di caffè turco con una goccia di latte e panino con
marmellata.
Partenza per Pyrgo, Olimpia, Langadia,
Tripolis, Argo, Nauplia. Per la strada incontriamo muli, donne
col capo coperto, uomini sul dorso dei muli; solitudine e miseria,
per quanto, come dice una delle nostre guide, solo apparente.
Casette costruite con pietre squadrate
calcinate, bianchissime e malandate a un solo piano. Passando vedo
una donna che fila tenendo una conocchia coperta di lana con la mano
sinistra e traendone il filo con la destra.
Si vedono distese di uva passa posta a
seccare su specie di forni d’argilla rossa.
Pyrgo, capitale dell’Akaia pare un
paese italiano come erano i nostri paesi prima della guerra. Ad
Olimpia: rovine imponenti con vari monumenti; al museo la signorina
Elide (cicerona) ci mostra il frontone del tempio di Zeus del
Partenone; la vittoria alata di Paionios, Ermes di Prassitele, statua
in terracotta pitturata (ratto di Ganimede).
Si riprende il viaggio per Langadia,
una graziosa cittadina con le case disseminate sul pendio di un alto
colle; poco dopo, paesaggio lunare, dopo ancora, Arcadia: boschi di
abeti verde-azzurro, alti monti brulli, rare piccole pianure di un
verde pallido; colli conici rivestiti di piccoli cespugli verdissimi
con rari alberi alcuni dei quali molto piccoli.
Si notano paesi annidati tra le
anfrattuosità dei monti, piccoli pali della luce, muli, asini, gente
mal vestita. Sui muri delle casette di pietra lungo
la via si vedono grandi scritte in rosso e in nero; strada stretta,
rari automezzi.
Arriviamo a Tripolis: gente col mulo e
con grandi macchine americane; sosta e pranzo a base di melanzane con
besciamella, roastbeef e patate, anguria e uva (karpuzi e stafilia).
Si parte per Nauplia nell’Argolide, in pulmann si sentono canti della
montagna. Strada a grandi curve; abbondanza di
automezzi.
Passaggio per Argos: visione di Tirinto
(mura di Ercole) e arrivo a Nauplia, graziosa cittadina sul mare.
Il giorno dopo S. Messa e comunione in
una chiesetta molto suggestiva; partenza per Epidauro, Teatro antico,
albergo confortevole; Tirinto e Micene dove si trova la tomba di
Agamennone, Argo e Corinto con il suo istmo.
Siamo ad Atene meravigliosa con
l’acropoli illuminata; a letto ore 24,30.
Alzata, S. Messa nella Cattedrale
Cattolica di Atene; visita dell’acropoli: cose meravigliose.
Ritorno, pranzo con spaghetti e a letto.
Ore 16,00 passeggiata in città e
gelato; divido una stanzetta al settimo piano dell’ Arcadia con
Mila C.; caldo soffocante ,ma c’è un terrazzino da cui si gode,
col fresco, una bella vista dell’Acropoli e della città.
Il giorno dopo, visita del museo
archeologico: sogno ori, gioielli, forme celesti, korai meravigliose
e kouroi stupendi; l’Arcivescovo Cattolico di Atene tiene un breve
discorso: niente retorica, solo alcune informazioni di carattere
scientifico sull’edificio e sulla situazione generale del
cattolicesimo in Grecia; dice che i rapporti tra la religione
greco-ortodossa e il cattolicesimo sono molto stretti; unico scoglio
quello del riconoscimento del Papa.
Giorgio Poffandi, nostra guida, dice
che il fatto del Papa è una questione di forza: ”chi ha più forza
vince.
Ore 16,00 partenza per Capo Sounion:
meraviglioso susseguirsi di mare e di scoglio; arriviamo in un luogo
stupendo; scherzi e giochi sulla spiaggia ghiaiosa. L’acqua è di una limpidezza
incredibile resa più diafana dai colori del tramonto.
Un’antica leggenda dice che il
desiderio espresso da una fanciulla al Capo Sounion quando il sole
sta per tramontare, si avvera; un attimo di sospensione e scoppiano
le più allegre risate perché ognuna di noi ha indovinato il
desiderio espresso dalle altre.
Ceniamo a base di pasta con besciamella e
carne, solita verdura e frutta ed infine arriva don Giovanni Rossi il
prestigioso fondatore della Pro Civitate di Assisi.
Dopo cena si intonano a gran voce i
canti più eterogenei; ci fermiamo a guardare un giovane prete che si
dà un gran daffare per dirigere un improvvisato coro di ragazze e
ragazzi.
Io noto una certa aria di voluta
allegria in tono ecclesiastico, con qualche punta di umorismo grasso
e senza sale; mi pare un voler mostrare una spregiudicatezza di
facciata che sa di polemica, come a dire ”non siamo colli torti
noi”.
Ritorniamo ad Atene e saliamo
all’Acropoli; in silenzio assistiamo ad uno spettacolo che può
essere definito stupendo, indimenticabile oppure oleografico a
seconda dei gusti. Potenti riflettori investono di luce
bianca il Partenone traendone toni lunari assai suggestivi, creando
ombre e riverberi tenerissimi sulle altre rovine dell’Acropoli.
Poi il tono dal bianco passa ad un rosa
incarnato e, cambiando la posizione dei riflettori, cambiano le ombre
creando quadri sempre nuovi e suggestivi di un romanticismo assai
facile.
Io preferisco l’Acropoli nel pieno
fasto del mezzogiorno come l’ho vista ieri; le forme felici e pure
delle cariatidi, investite in pieno dal sole e da un azzurro senza
macchia, esprimono l’ingenuità degli antichi, la loro vita
irriflessa, solare, pura. Le colonne del Partenone traducono,
nella loro armonia, la felicità del sole e del cielo.
Ora il discorso piuttosto retorico di
don Giovanni Rossi fa per me la degna cornice a questa oleografica
edizione dell’Acropoli in veste romantica.
Il giorno dopo si fa un gran ridere nel
gruppo delle mie amiche per la mia “avventura galante”..tutto
qui: un giovane di colore, sudanese, che ho incontrato due volte in
ascensore, ha voluto stringermi la mano e invitarmi, a forza di
cenni, in camera sua a mangiare il piccolo karpuzi che porta in
braccio.
Dapprima non capisco il senso dei
suoi gesti, ma poi scappo via un po’ scandalizzata.
Salutiamo Atene e partiamo alle 6,00
per la Beozia che si presenta con qualche caratteristica simile un
po’ alla nostra campagna italiana; si comincia a vedere qualche
pianura verde, gli alberi sono meno rari; i coltivati mostrano le
stoppie rimaste dopo la falciatura e si vedono anche nei campi,
alcuni attrezzi e macchine agricole moderne.
Alla chiesa bizantina di Ossios Lucas
troviamo oggetti caratteristici: si tratta certamente di una sosta
obbligata per i turisti. La chiesa è grande, tutta fatta di
mattoni rossi; mi fa pensare a qualche novella di Checov dove si
parla di pellegrini che sostano nei conventi.
Incontriamo un gruppetto di popes dalle
tonache lise e sporche; hanno la barba lunga e unta, i capelli lunghi
curiosamente annodati dietro. Ne ho visti molti, grandi. corpulenti,
maestosi e incridibilmente sporchi aggirarsi per le vie di Atene.
Qui il nostro sacerdote, insieme con
altri del gruppo viene introdotto in quello che penso possa definirsi
un po’ come il Sancta Sanctorum del monastero; le donne non vi sono
ammesse e a me che cerco di spingermi un po’ oltre la soglia di una
stanzetta, specie di sacrestia, uno dei pope-monaci fa segno di
retrocedere.
Alle pareti ci sono dei mosaici
bizantini molto interessanti, a colori vivi e freschi; su alcuni alti
leggii sono posati dei libri rivestiti in tela anche questi piuttosto
sporchi. Non mi riesce di vedere un altare,non
mi orizzonto.
Esco, il sole sul mezzogiorno
circonfonde cupole, alberi e monti. Cerco di fotografare un pope seduto
presso il parapetto che sovrasta la scarpata sul piazzale al lato
della chiesa; il vecchietto sta sgranando una specie di corona del
nostro rosario che qui chiamano spippolo.
Ripartiamo dopo affrettate compere di
gonne, piatti, pantofoline di pelo di coniglio. La strada corre tra monti e gole
dirupate investite da un sole trionfante.
A Delfhi - è ormai l’uso - scendiamo
dal pulmann e cominciamo a salire a piedi il colle per giungere al
museo (chiuso), proseguiamo verso le rovine del santuario, ma il sole
a picco, la fatica e la fame ci impediscono di capire tutto ciò che
la nostra guida racconta.
Ci fermiamo a mangiare all’albergo
Castalia, un grazioso alberghetto con una vasta terrazza che si
affaccia su un dirupo.
Partenza per Itaca; Ferry Boat per
Aeghion e poi per Patrasso.E’ ormai notte quando arriviamo nella
cittadina, al solito albergo vicino al porto. A cena ho la possibilità di parlare
con Enrico, un ragazzone esperto in fotografie a cui domando
chiarimenti sulla Pro Civitate.
Mi accorgo dal suo modo di parlare che
ha molta stima di questa organizzazione e specie del suo fondatore.
E’ un giovane pieno di vivacità,
infatti non riesce a stare un minuto fermo.
Siccome domattina dovremo partire alle
quattro ed è già quasi mezzanotte, decidiamo di stenderci sul letto
senza dormire, ma, stanche come siamo, finiamo per appisolarci e la
chiamata della capogruppo verso le 3,30 ci coglie quasi di sorpresa.
Partiamo per Janina che è ancora notte
fonda ed io, approfittando di questa naturale camera oscura che è il
pullman, colgo l’occasione per dare un’occhiata all’interno
della mia macchina fotografica: è successo un disastro, il rotolino
è stato applicato male per cui delle mie laboriose foto scattatate
sull’Acropoli e a Delphi nonchè a Capo Sounion non è venuto
proprio niente; devo esercitarmi a fare le fotografie prima di
affrontare un’altra gita impegnativa.
Attraversiamo una zona montuosa; la
temperatura si è fatta più bassa e l’aria è quasi frizzante;
monti, boschi, cavalli e qualche piano di un verde tenue.
Mi appisolo per un buon tratto di
strada; al mio risveglio è già giorno. Mi dicono che si è oltrepassato da
poco un laghetto rosa attorniato da nere gru.
Verso le 9 arriviamo a Janina, una
curiosa città appollaiata sui monti con moltissime caserme e
numerosissimi soldati da ogni parte. La strada principale asfaltata è
intersecata da brevi strade sterrate tra piccole case bianche.
Una cosa che mi ha colpito a Pyrgo e
poi in altri luoghi è vedere i balconcini delle case senza
ringhiera. La piccola città ha un aspetto fresco,
lindo e fiorito, aspetto che forse le viene conferito dall’ ora
mattutina e dalla temperatura un po’ più fresca che nella pianura.
Dopo una breve sosta per la colazione
si riparte per Igoumenitza.
Abbiamo cambiato pullman e al posto del
silenzioso vecchietto di prima, c’è alla guida Pedro un ometto con
un gran paio di baffi sempre in vena di scherzi, schiamazzi e cantate
stentoree che, sulla strada piena di curve, si diverte a fare lo
spericolato guidando addirittura con la pancia.
A Igoumenitza, dopo le formalità, si
sale in nave e la traversata ha inizio. Arriviamo a Brindisi, ci salutiamo; una
carrozzella carica fino all’inverosimile ci porta alla stazione.
Mangiamo finalmente un panino italiano
con un buon caffèllatte. Il treno ci aspetta sul primo binario,
si sale, si sistemano i bagagli e ci si appresta a dormire in uno
scompartimento che la Pro Civitate ha riservato per noi.
Salutiamo fuggevolmente il signor
dottore, uno degli organizzatori, molto giovane, ma piuttosto untuoso
alla barba del quale abbiamo molto riso.
Cerchiamo di accomodarci scacciando un
tale che si era accomodato nel nostro scompartimento, ma una volta
rimaste sole, ecco una piccola banda di ragazzotti che vogliono
entrare a conversare con noi, hanno facce poco rassicuranti e un modo
di fare che non ci piace; noi siamo stanche e vogliamo dormire, ma
questi tizi continuano ad importunarci.
Io comincio a perdere la pazienza e
minaccio di tirare il segnale se non se ne vanno. Finalmente arrivano due suore con una
bambina che ci chiedono di farle entrare; le accogliamo a braccia
aperte.
Arriviamo a Roma verso le 7,30. Cambiamo treno ed eccoci sulla via del rientro. Boschi, pianure, case ci vengono
incontro invece delle lande semi-deserte del Peloponneso. Noi siamo
allegre, ma anche un po’ tristi.
L’Acropoli, le colonne di Capo
Sounion, Epidauro e il fresco spirare di ambrosia di Olimpia sono
ormai solo un ricordo.
Non dimenticheremo la battuta di
Gigliola a proposito di quanto avremmo raccontato della Grecia ai
nostri familiari; siccome gli orari ristretti del rollino di marcia
lasciavano poco tempo alle nostre necessità fisiologiche,
lamentavamo tutte una certa stitichezza per cui, il laconico commento
suggerito da Gigliola addirittura in termini greci, non poteva essere
più esplicito né più comico. Suonava così:
In Grecia? Tutto kalò …niente kakò
(tutto bello…niente brutto).