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Lettere di Lia: emozione e turbamento

A volte ho l'impressione di non vivere come comunemente si intende; la mia vita vera è tra i libri; è sulle pagine dei romanzi che ho incontrato personaggi vivi, ho contemplato paesaggi, ho respirato atmosfere particolari. È forse questa vita diversa che mi rende così difficile comunicare con gli altri.
A scuola vorrei dire tante cose ai miei alunni, vorrei aiutarli a rifiutare ogni compromesso, ogni volgarità per poter essere puri, liberi, responsabili nel portare con dignità il peso della loro umanità; ma la loro giovinezza e il loro candore mi ispirano un rispetto, una specie di soggezione affettuosa che mi impedisce di usare con loro quella familiarità che altri insegnanti usano. Non so se sia bene o sia male, so solo che io non so fare altrimenti. Se mi sforzassi di essere diversa, forse suonerei falsa.

Questa estate ad Agape ho avuto con te un’esperienza per me assai rara: finalmente ho incontrato una persona simile a me in tante cose: formazione mentale, interessi culturali e in più con un senso dell’umorismo che io non ho. Hai saputo ascoltare i miei problemi e io te ne sono infinitamente grata. Un dubbio mi opprime (o mi affascina...): mi suggestiono? Un certo comportamento di A. mi fa pensare che... non oso formulare l’idea, ma tu mi capisci. A. mi guarda in un modo particolare, come se volesse dirmi qualcosa e poi ci ripensasse. Certe sue frasi dette così senza parere mi hanno fatto pensare che lui soffra per causa mia. 

Forse io vado in parrocchia troppo spesso... Accade anche che ci cerchiamo a vicenda ed è evidente che stiamo volentieri insieme. Che fare? L’ipotesi che non oso formulare è assurda, considerate le mie qualità non certo eccezionali, ma so bene che qui l’eccezionalità non c’entra; c’entrano invece tante altre cose: la solitudine, la sua giovinezza fisica e spirituale, l’amicizia che si è creata, la mia maldestra disponibilità e chissà quante altre cose ancora! L’ altra sera mi ha colpito un suo lungo sguardo silenzioso, che io ho contraccambiato - credo - con aria interrogativa; infatti pensavo che volesse dirmi qualcosa, invece ha solo accennato un tenue sorriso.

Il mio amico è turbato. Tenerezza e vanità si agitano in me. Io tento continuamente di purificare il mio affetto perché non voglio davvero fargli del male; i tipi come lui sono esposti a una certa vulnerabilità nel campo dei sentimenti. La sua schiettezza e chiarezza d’animo non gli permetterebbero di nascondere del tutto ciò che prova e questo deve sconcertarlo molto. Io penso a lui continuamente, ma cosa devo fare, cosa mi consigli? Sono confusa, ho paura di me. Sono una vecchia zitella senza esperienze. Mai prima di adesso ho provato tanta tenerezza. Il sentimento che provo per A. è complesso; non so se possa chiamarsi "amore", ma è certo che, come già ti dissi, ne ha varie caratteristiche: l’euforia che mi prende in sua presenza, la mia preoccupazione per il suo benessere, il cuore che batte quando lo vedo o ne sento la voce. .. Mi sembra che manchino quegli elementi erotici che caratterizzano - sento dire - l’amore sul piano concreto, ma può darsi che essi siano censurati dal mio Super-Io e chissà... covano nell’ombra, pronti a saltar fuori. Forse la sua innocenza coatta - e anche la mia - ci hanno fatto indugiare più a lungo del solito sulla soglia dell’infanzia e ora ci troviamo disarmati dinanzi alle "cose della vita". Mi domando se nel suo turbamento trovi posto qualche componente erotica.

E’ un uomo... Forse soffre ed è troppo puro per non farsene scrupolo. Mi sento molto a disagio. Non mi piacciono le situazioni confuse! Io tento di elevare il mio sentimento, ma avverto con forza certe strane correnti, come una specie di magnetismo.
Cerco disperatamente di rassegnarmi alla rinuncia, ma spesso provo un desiderio così struggente della sua vicinanza, una tenerezza triste e un diffuso senso di colpa.
Certe volte, mentre stiamo preparando insieme una gita per i ragazzi o qualche altra iniziativa per la parrocchia, io avverto, con angoscioso stupore, un’improvvisa agitazione che lui non riesce a controllare sufficientemente, noto un suo particolare sguardo vivido di un’evidente eccitazione... Sarà suggestione? Comunque sia, io credo di avvertire il travaglio della sua carne, qualcosa che certo lui sente in contrasto con la scelta irrevocabile che ha fatto.

Ho appena finito di leggere L’amore nel celibato di Luisa Rinser Editore Gribaudi 1969. Vi ho trovato espressi i miei stessi dubbi, scrupoli, la mia sofferenza, sapientemente trattati in un tentativo di rasserenamento nell’accettare la rinunzia. Ti trascrivo le ultime righe: ‘Vi è anche un carisma di amore che rinuncia, capace di riempire la vita di un grande, anche se doloroso splendore. Una volta sentivo di lontano un canto di uccello, così bello che mi turbava.
Mai avevo sentito un canto simile. Io andai dietro a quel canto e trovai, in un cortile, appesa una gabbia e dentro un merlo tutt’affatto ordinario. Era cieco.’ Questa lettura mi fa pensare. Quando non si prevede uno sbocco normale a un sentimento, bisogna sforzarsi di trovare comunque un qualche equilibrio. Se penso alla mia situazione, devo convenire che certo, aver incontrato A. e provare per lui quello che provo, riempie la mia vita, mi insegna l’importanza che può assumere un essere umano nella vita di un altro.
Ma poi c’è tutto il non detto, l’angoscia, il turbamento, le pulsioni pericolose… Non sarebbe meglio chiarire?
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LETTERE DI LIA
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